Esiste qualcosa di vero?

Esiste qualcosa di vero nella nostra civiltà, qualcosa che è incontrovertibile, qualcosa che non dipenda dal punto di vista personale?

Ora che esistono i social network tutto sembra vero e contemporaneamente tutto sembra falso.

Tutto ciò che scriviamo, fotografiamo, pubblichiamo ci sembra vero, finché qualcuno, più informato di noi non ci smentisce in modo certo.

Questo perché le informazioni sono talmente tante che è impossibile essere aggiornati su tutto, quindi una notizia, orribilmente falsa, se ripetuta da persone diverse nel tempo, o anche dalla stessa con maniacale puntualità, nel tempo ci sembra incredibilmente vera.

E questo perché più il progresso, soprattutto quello tecnologico, avanza più le persone arretrano, confuse, smarrite, pilotate da un élite di manipolatori seriali.

Quella che vi voglio raccontare è la storia di uno di questi, Siegfried, ma potrebbe chiamarsi Paolo e il senso della storia non cambierebbe.

Lui era un uomo, perché ancora esistevano nel 2723, nonostante le più fosche previsioni delle ultime centinaia d’anni.

L’intelligenza artificiale non aveva soppiantato quella umana, certo aveva raggiunto vette altissime e creato un consumo di energia spropositato, ma eravamo riusciti ad imbrigliare l’energia solare a viaggiare alla velocità della luce, scomponendo e ricomponendo la materia come un perfetto puzzle che potevamo assemblare e disassemblare infinite volte.

Come dicevo, Lui era uno dei tanti che manipolava il presente e il passato, e il futuro lo disegnava a proprio piacimento, come il Dio che aveva accompagnato per tanto tempo l’uomo, i suoi pensieri, le sue ossessioni.

Non era immortale S. ma viveva come se lo fosse, si divertiva un sacco ad entrare nella mente delle persone tramite criptici messaggi che pubblicava sui social media e da cui pendevano, come stalattiti da una caverna preistorica, tutti gli esseri viventi che ancora credevano di poter razionalizzare tutto.

Nessuno conosceva il suo volto, solo un avatar di natura femminile lo rappresentava, e questo perché guardare un volto di donna gli procurava piacere.

Da questo punto di vista non era diverso dagli uomini che lo avevano preceduto, gli piaceva enormemente accoppiarsi alle donne che gli concedevano la loro femminilità, ma non aveva mai usato la forza: aborriva la violenza e il dolore che provocava.

La sua bellezza era così sfolgorante, il suo sorriso così accattivante, il suo corpo così atletico, il suo eloquio così semplice e diretto che le donne gli si concedevano senza pretendere nulla in cambio.

Questo era il suo svago, ma il suo lavoro era accumulare denaro e potere, semplicemente perché questo gli piaceva.

C’era stato un tempo in cui problemi più terreni turbavano i suoi sonni: la famiglia, la salute, l’ambiente, le guerre, la morte. Li aveva trascesi tutti, anche se la famiglia un po’ gli mancava, ma l’aveva persa in un brutto incidente e dopo un anno di dolore, in cui aveva pensato di accompagnarli, aveva trovato nuovo interesse alla vita.

Mi direte voi cosa centra tutto questo con la storia che voglio raccontare, niente: è solo l’humus su cui crescerà.

Le storie nascono per caso, da sempre l’uomo lo fa per avere memoria di se stesso, lo fa da sempre, da quando la parola non era giunta alle sue labbra e lui incideva le pareti delle grotte in cui viveva con simboli e disegni, graffitava insomma.

Ora S. era figlio del suo tempo, ma anche del tempo passato, di tutto quell’accumularsi di pensieri che in migliaia e milioni di anni ci avevano trasformato da uomini in manipolatori seriali.

Lui creava informazioni di cui noi siamo avidamente ghiotti, informazioni e immagini, vere o false che siano poco importava.
L’importante era che creassero a lui denaro e successivamente potere, con quel fascino misterioso cui tutti ambiscono, forse tutti no, ma in massima parte sì.

Creava informazioni partendo dagli stereogrammi che illustravano le varie comunità che ancora, dopo quasi tremila anni dalla nascita e morte di Cristo ambivano alla gioventù e alla felicità più di ogni cosa, forse più del denaro così importante oggi come allora, come al tempo in cui l’uomo aveva cominciato a commerciare, prima barattando, poi inventando la moneta e al tempo stesso dare un prezzo a qualsiasi cosa, perfino alla propria anima, perché tutto è in vendita se il prezzo è quello giusto. Lui sapeva determinare il giusto prezzo delle cose e ancor più delle persone.

Era nato per caso questo talento, probabilmente l’aveva sempre avuto, ma nella vita precedente non gli era servito perché era intrisa di valori morali ed etici, e li aveva persi entrambi dopo l’incidente.

Aveva creato quasi per gioco un account su un social media per capire il mondo, a quel tempo ancora ci credeva, per poi scoprire che era meglio manipolare la realtà che viverla.

E così piano piano, entrando in un mondo digitale così nuovo per lui, ne era rimasto affascinato per le intrinseche possibilità che offriva, ma da solo non avrebbe trovato quello che cercava e si appoggiò ad un’azienda che produceva androidi e umanoidi che gli permisero di esplorare in tempi brevi tutto l’universo, conosciuto e sconosciuto che fosse.

Prese per mano la sua anima e la vendette e scoprì delle profondità che nemmeno supponeva esistessero, neanche la la più performante droga sintetica gli avrebbe permesso di sperimentare allucinazioni di questo tipo.

La gente era così infelice, così facile da manipolare, ogni giorno metteva la maschera prima di uscire di casa: Lui diventò quella maschera, indossò i neuroni di chi voleva manipolare e pian piano cominciò a controllare migliaia di persone convincendole che la strada che a loro indicava era l’unica possibile, nel migliore dei mondi possibili.

Non c’era mai un bivio in cui dover decidere, non c’erano svolte a destra o a sinistra, solo un lungo rettilineo e un orizzonte irraggiungibile.

Fu così che le persone divennero dei visionari in cui tutto era pianificato, non c’era bisogno di guardarsi in giro per fare delle scelte.

Ormai S. controllava gli impatti benefici che lui stesso aveva programmato, c’era solo un po’ di violenza psicologica, ma solo lui ne era al corrente, loro erano convinti che fosse solo farina del proprio sacco, e non erano mai stati così felici.

Molti seguirono la sua strada, servivano nuovi adepti cui sollecitare l’attenzione, ma non era un suo obiettivo controllare tutto, una volta istruiti li avrebbe lasciati liberi di seguire il proprio percorso.

Lui desiderava tempo per se stesso, sapeva che il tempo prima o poi sarebbe finito, forse altri più bravi di lui lo avrebbero manipolato, e questo non gli andava a genio.

Era pur sempre un uomo, dotato dei giusti attributi e un forte appetito sessuale, in questo non era diverso dai miliardi di uomini che l’avevano preceduto.

A volte se ne andava su un’isola deserta a riposare e a riflettere, ma mai senza una donna, l’orgasmo femminile era ciò che più lo appagava, ma non aveva mai costretto una donna controvoglia.

Non si era più innamorato dopo la morte della moglie, un lungo amplesso era solo ciò che lo interessava.

Si sentiva come un Dio umano che tutto può, un Dio ingiusto, ma non privo di umanità.

Ma come Faust aveva venduto l’anima e un giorno Lei si presentò per riscuoterla, si sa la morte è femmina, come la nascita, come la vita.

La vita che dà e toglie in egual misura era lì a togliere l’ultimo respiro, quando Lui ormai credeva di essersi di nuovo innamorato, quando la sua redenzione sembrava certa, rimase lì senza fiato e senza battito, nudo come un verme con quel totem tra le gambe che il cuore aveva congelato.

Un attimo prima non aveva colto l’intensità del momento, era come se un blackout avesse azzerato la sua memoria interna e sempre in un attimo aveva visto lo sfacelo di ciò che era diventato.

Il cuore aveva smesso di battere, la mietitrice raccolse le sue messi e se ne andò, lei sì che manipolava tutto, e non aveva bisogno di tecnologie per togliere il respiro.

Marco Fantuzzi