Un inverno dell’infanzia, che per fortuna non ho ancora dimenticato, io avevo sei anni, la mia amica Fiorenza, poco di meno (in realtà era una cugina di secondo grado – è quella che mi abbraccia mentre siamo seduti a tavola nell’album di fotografie dei miei genitori).
Era un pomeriggio carico di neve, tanta per terra da poterci fare un bel pupazzo, i fiocchi sembravano non volersi fermare mai. Ci trovammo in cortile, ben coperti, con cappotto, sciarpa, guanti e berretto, mentendo ai nonni di lei che saremmo andati a casa dei miei nonni, che abitavamo a due passi, nello stesso rione di case popolari.
Fino all’imbrunire, sotto un neve che diventava sempre più fina, restammo a ammucchiare neve e a vestire il nostro pupazzo, con quello che avevamo addosso, sciarpe, berretti e guanti, il cappotto, seppur slacciato l’avevamo tenuto indosso.
A fine giornata eravamo fradici come pulcini, ma sfiniti e soddisfatti, come possono esserlo due bambini che hanno realizzato un loro sogno.
Marco guarda con orgoglio il pupazzo di neve che stiamo finendo.
F. «Mi sembra che stia venendo bene, però è lungo da costruire, ormai non si ci vede più.»
F. «Però mi piace, lo sai che nessun altro bambino del nostro cortile lo ha ancora fatto, noi siamo i primi.»
Io parlo mentre sistemo la neve, ma lui non mi ascolta, sta finendo la testa.
Allora gli tiro una palla di neve e mi metto a ridere, lui si arrabbia.
In quel momento arrivano le nostre nonne, che facce arrabbiate che hanno.
Devono aver scoperto che è tutto il pomeriggio che siamo qua sotto la neve, mentre dovevamo essere in casa a fare i compiti.
E invece noi abbiamo fatto un bellissimo pupazzo di neve.
Marco Fantuzzi
Commenti recenti