Porto in salvo dal freddo le parole,
curo l’ombra dell’erba, la coltivo
alla luce notturna delle aiuole,
custodisco la casa dove vivo,
dico piano il tuo nome, lo conservo
per l’inverno che viene, come un lume.
Da Il prato bianco
Porto in salvo dal freddo le parole,
curo l’ombra dell’erba, la coltivo
alla luce notturna delle aiuole,
custodisco la casa dove vivo,
dico piano il tuo nome, lo conservo
per l’inverno che viene, come un lume.
Da Il prato bianco
Come a una voce lontana presto ascolto,
Ma intorno non c’è nulla, nessuno.
In questa nera buona terra
Voi deporrete il suo corpo
Né il granito né il salice piangente
Faranno ombra al cenere leggero
Solo i venti marini del golfo
Per piangerlo accorreranno.
Anna Achmatova, da Poema senza eroe, nella traduzione di Carlo Riccio (Einaudi, 1966)
Ah, non essere separati
non da parete così esigua esclusi
dalla misura delle stelle.
Lo spazio in noi non c’è,
se non cielo più intenso,
che attraversano d’impeto gli uccelli e profondo
dei versi del ritorno.
Rainer Maria Rilke
Entrai
ed era una stanza vuota
ma no, che dico,
c’era un pavimento lucido
pulito di fresco
pareti bianche
che riflettevano luce
e porte e finestre
di legno verniciato.
C’era il sole che entrava
raggi pieni di polvere
e respiri pieni di acari
c’era la vita
in quella stanza vuota
così me ne andai
in cerca di altri vuoti da riempire.
Se più dolcemente di Orfeo,
che gli alberi anche commosse,
tu modulassi la cetra,
il sangue non tornerebbe
all’ombra vana …
Duro destino,
ma meno grave si fa,
col sopportare,
tutto ciò che far tornare a ritroso,
è impossibile.
Orazio – Odi
Il Boléro è una composizione di Maurice Ravel del 1928; nato come una musica da balletto è divenuta celeberrima come brano da concerto. È sicuramente il bolero più famoso mai composto, nonché l’opera più popolare del compositore.
L’arte di vivere non ce l’insegna nessuno, certo i genitori ci influenzano molto, nel bene e nel male. Poi arrivano le amicizie e da lì cominciamo a fare le nostre scelte, giuste o sbagliate che siano.
Da lì in avanti ognuno inizierà a crearsi la propria arte e la coltiverà per tutta la vita, innaffiandola giorno dopo giorno per vederla crescere e goderne i risultati, che ovviamente non saranno gli stessi per tutti, perché il nostro libero arbitrio ci condurrà su strade diverse, in mondi paralleli, in un universo fatto di cose e persone soltanto nostro.
E se un giorno decideremo di preferire una realtà virtuale come quella dei social, credo proprio che qualcosa avremo sbagliato nel nostro cammino.
Marco Fantuzzi
Questa umanità vacua e dolente
si nutre di tutto, ma non assorbe niente,
ricordi e rimpianti l’inezia di un attimo.
Vacuità immanente cerchi nel dolce oblio,
vivi di chimica nel multiverso luccicante,
non hai futuro, il tuo elisir è solo polvere.
Vuoi danzare solo nella notte buia
dormire nell’alba nascente
e credi in un amore libero e trascendente.
Tutte le civiltà, quelle conosciute almeno, sono state attraversate da profonde crisi di carattere politico-sociale e oggi stiamo di nuovo attraversando uno di questi periodi.
Da una parte la politica, una cosa per pochi eletti, mentitori per professione, sostenuta da poteri così forti in grado di poter distruggere una nazione per i propri interessi e dall’altra la società civile, in massima parte povera o impoverita che lotta per ripristinare la propria dignità, compromessa da una competitività sempre più sfrenata, e dove la condivisione e la solidarietà sono merce rara e preziosa.
Dove il confine tra ricchezza e povertà è così labile che spesso un evento inaspettato può fare la differenza tra la vita e la morte.
Siamo diventati davvero un branco asociale?
Vivere tra le macerie, in fatiscenti abitazioni, tra il ronzare di insetti instancabili, con la pelle impregnata di un caldo maleodorante. Questo incubo si materializza in tutte le grandi città nelle estati afose che ormai danneggiano profondamente il nostro vivere, in un caldo che i condizionatori dei grattacieli contribuiscono a dilatare a dismisura per chi vive giorno e notte all’aria aperta.
Che ne sarà dell’aria limpida che respiravano i nostri nonni, quando anche l’ultima foresta sarà stata distrutta?
Che ne sarà dei destini delle nostre future generazioni, quando gli occhi di oggi fanno tabula rasa del nostro ambiente vitale?
Che ne sarà della Terra che ci guarda inorridita davanti allo scempio cui assiste da ormai troppo tempo?
Lei sopravvivrà, perché saprà adattarsi al cambiamento climatico, ma noi no, noi non ce la faremo.
Vogliamo autonomie politiche,
vogliamo decidere del nostro destino,
vogliamo i profitti che produciamo,
vogliamo pace e serenità,
chiediamo troppo? Ce lo concederanno o dovremo lottare per ottenerle?
Marco Fantuzzi
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