I libri degli altri

I libri degli altri, potrebbe essere il titolo per un libro, per un blog di letteratura, finanche per una libreria, ambulante o fissa che sia.

I libri degli altri sono quelli che uno scrittore legge e vorrebbe aver scritto, perché affascinato dall’idea narrativa, dallo stile, che pur assomigliando al suo se ne differenzia per connotazioni e caratteristiche o semplicemente perché lo affascina l’insieme del tutto.

Pur riuscendo ad afferrarlo e comprenderlo c’è qualcosa che gli sfugge, un attimo di sfuggente nostalgia nascosto tra le righe del libro, annidato tra parole desuete.

Che tu sia scrittore o no è sempre il desiderio di raggiungere vette colte da altri con apparente facilità che ci attrae.

Perché è il desiderio che ci tiene in vita, soprattutto il desiderio di amare, nella speranza che l’altro, libro o persona che sia, colmi una nostra mancanza.

Marco Fantuzzi

Non siamo

Non siamo, in fondo, tutti un po’ filosofi?

Anche gli operai, schiavi di se stessi

per giorni interi a ripetere le stesse faccende

per un soldo che sa soltanto di pane fresco?

Un mondo a testa in giù, un mondo capovolto

che par somigliare a un inferno di dantesca memoria

un mondo che si stringe man mano che scendi,

cosa troveremo laggiù che non abbiamo già cercato?

Marco Fantuzzi

La felicità non esiste

La felicità non esiste, perché se così fosse tutti potrebbero ambire a perseguirla e ottenerla. Invece non è così, quando anche arrivasse è così poco duratura che un attimo dopo è già svanita.

C’è chi dice che la felicità pur non esistendo, né in natura né in noi stessi, si può produrla. Sì, ma come, a comando? Serve forse produrre un mix chimico di ormoni che ci danno quella parvenza di felicità che possiamo ottenere più facilmente indossando un dispositivo di realtà virtuale.

Così sì che siamo felici, entriamo nel Metaverso, vediamo solo persone belle e intelligenti che cancellano il passato dalla nostra mente, esiste solo il presente, ma questo lo sapevamo già.

Lo sai che le parole ci dicono da dove vieni, e allora usa quelle corrette non le prime che ti vengono in mente, un po’ di riflessione è utile.

Le parole che scegli dicono dove vuoi andare, sono quindi aperte al futuro, che poi lui, il futuro, è solo un secondo più avanti e mentre pensi o scrivi quelle parole lui è già diventato passato.

Quindi ingaggia con il tuo cervello una battaglia, se vuoi vincere la guerra, mischia la chimica della vita della maniera migliore e forse otterrai la felicità come somma dei tuoi comportamenti e delle tue emozioni.

Qualsiasi parola che noi pronunciamo, o che neghiamo, attiva nel nostro cervello specifiche aree che, a loro volta, innescano la produzione di neuroni e neurotrasmettitori, che sono poi responsabili del modo in cui stiamo.”

Questo lo abbiamo sempre saputo, dalla notte dei tempi l’uomo, pur non sapendo niente del funzionamento del cervello, ha sempre usufruito della capacità e della forza delle parole.

Adesso che conosce, o comincia a conoscere, sempre più nel dettaglio il funzionamento del cervello, utilizza questa capacità a proprio vantaggio.

E non è sempre necessario utilizzare il pensiero positivo o essere ottimisti per potersi realizzare, anche una persona realista più ancorata di altri al suo vissuto terreno può raggiungere i suoi obiettivi grazie alle neuroscienze o a corsi di formazione su base scientifica.

Ogni parola che pensiamo e pronunciamo attiva nel cervello una ricerca semantica, che a sua volta evoca una serie di idee che sono collegate a queste parole e che sono, per così dire, comprese.”

Occorre quindi prestare molta attenzione alle parole di cui ci circondiamo, perché modificano la percezione che altri hanno di noi. Esprimere lo stesso concetto con parole diverse evoca negli ascoltatori una diversa attenzione e un diverso significato, perché ogni parola ha un impatto diverso sul cervello.

Nonostante un substrato solido disconoscenze, non abbiamo una chiara comprensione del modo in cui miliardi o milioni o migliaia o persino decine di nuovi neuroni operino insieme per generare l’attività del cervello.

Chi finanzia la ricerca, di base e avanzata, nel campo delle neuroscienze che più di ogni altra scienza potrà condurci alla ricerca della felicità? Forse le industrie farmaceutiche, i dipartimenti della difesa, in primis quello americano, desiderosi di creare il soldato perfetto (l’unico creatore di infelicità) visto che l’intelligenza artificiale non ha creato il robot perfetto, pur creando macchine letali e sofisticate.

Marco Fantuzzi

Come pensare?

C’è chi dice che niente gioca un ruolo maggiore nel costruire la nostra fortuna dei pensieri che scegliamo di pensare. Io sinceramente non so come si forma il pensiero, ma non sono d’accordo con il fatto che scegliamo consciamente tutti i pensieri che ci permettono di provocare azioni.

O perlomeno non siamo in grado di capire in tempo reale quello che stiamo pensando. Ci sono sicuramente almeno due tipi di pensiero, quello classico ragionato che utilizziamo tutte le volte che dobbiamo risolvere un problema e un altro inconscio che ci fa reagire istintivamente ad una azione che interessa la nostra sfera personale.

Secondo alcuni per ottenere qualcosa è necessario credere che ciò che pensiamo accadrà, perché i pensieri rispecchiano le convinzioni, e i pensieri fanno di tutto per trasformarsi in una cosa materiale o in un evento della nostra vita.

Purtroppo non sempre è così, ci sono cose che accadono al di fuori del nostro controllo, anche se qualcuno potrebbe obiettare che accadono perché qualcun altro le ha pensate.

Chissà, forse la verità sta nel mezzo, di sicuro essere sempre concentrati sui desideri in qualunque momento della nostra giornata, della nostra vita è probabilmente al di fuori della nostra portata.

Non bisognerebbe mai manifestare pensieri contraddittori, pensieri in conflitto con altri pensieri, senza che ce ne rendiamo contro provocano azioni non desiderate. La mia esperienza personale mi dice che non si può pensare una cosa e agire in controtendenza, tutto ciò va solo a nostro discapito.

Marco Fantuzzi

Un mondo in meno

Un mondo in meno: ecco cos’è in sintesi un uomo che se ne va.”

Voglio partire da questa frase, letta nell’introduzione a una raccolta di scritti di George Orwell (la penna è di Guido Bulla), per parlare del desiderio dell’uomo di uccidere i propri simili.

Forse questa caratteristica, così profondamente “umana”, incisa a viva forza nel nostro DNA risale alla notte dei tempi, anzi è sicuramente così.

A quell’epoca l’uomo non era il predatore di oggi, ma una preda come tanti, il suo cervello rettiliano era attrezzato solo per sopravvivere, e ancora oggi è presente in un cervello notevolmente più evoluto.

Questo per dire che aggressività, violenza e a una pulsione distruttiva e autodistruttiva sono ancora presenti dentro di noi, anche se la maggior parte di noi riesce a controllarsi, anche se sempre meno.

Oggi, comunque, con il livello di tecnologia di cui disponiamo potremmo vivere pacificamente e prosperare proteggendo il nostro spazio vitale, ma non lo facciamo, perché?

Diamo la colpa alla nostra biologia evolutiva che non ci ha differenziato a sufficienza dall’uomo delle caverne, diamo la colpa agli altri (ma quali?), perché noi inguaribili ottimisti non sappiamo accettare i nostri errori.

Non ci rendiamo conto di quanto è piccola la Terra in confronto alla vastità dell’Universo che ci ospita, di cui crediamo al momento di essere gli unici abitanti (ma mi sembra uno spreco di spazio).

Chi ha avuto la fortuna di osservare la foto del nostro pianeta da una distanza di sei miliardi di chilometri sa di cosa sto parlando (cercate pale blue dot su internet): un misero puntino.

E la vicinanza del Sole, questa massa incandescente, esageratamente più grande e potente del nostro spazio vitale (la nostra bistrattata Terra) non dovrebbe farci dormire sonni tranquilli.

Al momento in cui scrivo una forte tempesta geomagnetica proveniente dalla nostra stella potrebbe colpirci e rispedirci in un Medioevo tecnologico per settimane o addirittura per mesi.

E noi sappiamo bene come l’uomo non sappia adattarsi ai cambiamenti repentini.

Traete voi le conclusioni migliori e scrivetemi se vi va.

Marco Fantuzzi

22/12/2023

Caro amico

Caro amico,

lo sai qual è il problema della condizione umana, la necessità di ragionare su ogni cosa, di voler capire ogni cosa, di voler giudicare ogni cosa.

Siamo dotati di un cervello evoluto, forse troppo rapidamente si è evoluta questa contorta materia grigia che ancora non conosciamo a fondo.

Ancora ai giorni nostri siamo assetati di conoscenza, ci lasciamo sommergere da una marea di scoperte, di invenzioni, di semplici informazioni.

E in mezzo a tutto questo non sempre siamo in grado di discernere il vero dal falso, il bene dal male, il buio dalla luce.

L’età dell’illuminismo ci ha messo nelle condizioni di sfruttare al meglio le qualità della ragione, ma questo non sempre basta a interpretare la vita che ci circonda.

Ci viene in soccorso lo spirito per capire, ma occorre farlo lavorare senza chiedergli giudizi di valore.

Ci sono cose che bisogna accettare così come sono, fanno parte della condizione umana come la Terra fa parte dell’Universo.

Noi non sappiamo da dove veniamo, l’utero materno non ci può bastare come risposta, possiamo andare a ritroso nel tempo per qualche migliaia di anni, forse anche più, e poi?

Se risaliamo fino al Big Bang sono già miliardi di anni, e di questi conosciamo poco, ma prima ancora cos’erano lo spazio e il tempo?

Credo che non lo sapremo mai, ma chissà, forse un giorno potremo viaggiare nel tempo e in qualche milione o miliardo di anni avremo le nostre risposte, se l’evoluzione ce lo permetterà.

Marco Fantuzzi

La vita privata

La vita privata degli animali, anche loro ne hanno diritto, non solo gli uomini che credono di avere una intelligenza superiore e poi si uccidono a vicenda per cose senza importanza (come la libertà, che è un concetto astratto guarda caso inventato dall’uomo).

Gli animali selvatici sono liberi, gli uomini in quanto addomesticati da se stessi ne sono privi, la loro cosiddetta “libertà individuale” cessa nel momento in cui lede la libertà del branco.

E uso la parola branco di proposito perché questo siamo: branchi, piccoli o grandi, che formano la cosiddetta civiltà civile in cui non tutti hanno pari dignità e di conseguenza pari libertà.

Marco Fantuzzi

L’arte di vivere

L’arte di vivere non ce l’insegna nessuno, certo i genitori ci influenzano molto, nel bene e nel male. Poi arrivano le amicizie e da lì cominciamo a fare le nostre scelte, giuste o sbagliate che siano.

Da lì in avanti ognuno inizierà a crearsi la propria arte e la coltiverà per tutta la vita, innaffiandola giorno dopo giorno per vederla crescere e goderne i risultati, che ovviamente non saranno gli stessi per tutti, perché il nostro libero arbitrio ci condurrà su strade diverse, in mondi paralleli, in un universo fatto di cose e persone soltanto nostro.

E se un giorno decideremo di preferire una realtà virtuale come quella dei social, credo proprio che qualcosa avremo sbagliato nel nostro cammino.

Marco Fantuzzi

Una crisi di valori

Tutte le civiltà, quelle conosciute almeno, sono state attraversate da profonde crisi di carattere politico-sociale e oggi stiamo di nuovo attraversando uno di questi periodi.

Da una parte la politica, una cosa per pochi eletti, mentitori per professione, sostenuta da poteri così forti in grado di poter distruggere una nazione per i propri interessi e dall’altra la società civile, in massima parte povera o impoverita che lotta per ripristinare la propria dignità, compromessa da una competitività sempre più sfrenata, e dove la condivisione e la solidarietà sono merce rara e preziosa.

Dove il confine tra ricchezza e povertà è così labile che spesso un evento inaspettato può fare la differenza tra la vita e la morte.

Siamo diventati davvero un branco asociale?

Vivere tra le macerie, in fatiscenti abitazioni, tra il ronzare di insetti instancabili, con la pelle impregnata di un caldo maleodorante. Questo incubo si materializza in tutte le grandi città nelle estati afose che ormai danneggiano profondamente il nostro vivere, in un caldo che i condizionatori dei grattacieli contribuiscono a dilatare a dismisura per chi vive giorno e notte all’aria aperta.

Che ne sarà dell’aria limpida che respiravano i nostri nonni, quando anche l’ultima foresta sarà stata distrutta?

Che ne sarà dei destini delle nostre future generazioni, quando gli occhi di oggi fanno tabula rasa del nostro ambiente vitale?

Che ne sarà della Terra che ci guarda inorridita davanti allo scempio cui assiste da ormai troppo tempo?

Lei sopravvivrà, perché saprà adattarsi al cambiamento climatico, ma noi no, noi non ce la faremo.

Vogliamo autonomie politiche,

vogliamo decidere del nostro destino,

vogliamo i profitti che produciamo,

vogliamo pace e serenità,

chiediamo troppo? Ce lo concederanno o dovremo lottare per ottenerle?

Marco Fantuzzi

Ogni giorno abbattiamo ponti

Ogni giorno abbattiamo ponti, fisici e non, per spezzare quei collegamenti che fanno di civiltà diverse un unico grande organismo vivente.

Se trattassimo la vita, la nostra e quella degli altri, con maggior rispetto potremmo lavorare ogni giorno per la prosperità di tutti i popoli.

Detta così ai profani può sembrare un’utopia, parole gettate a caso e sollevate dal vento in chissà quale direzione, ma non è così.

Siamo continuamente manipolati e sotto ricatto di poche persone senza scrupoli, perché abbiamo perso l’orgoglio di essere umani, viviamo nell’incertezza e nell’indifferenza, nella convinzione che non tocchi a noi, semplici cittadini, risolvere i problemi del mondo.

E a chi se no, a chi ci governa tocca quest’incombenza? Sappiamo tutti che non è così, ma ci giriamo dall’altra parte, sperando di non sentire la puzza di un mondo in disfacimento.

La soluzione è semplice, ma nessuno la vuol vedere, ci raccontano che questo è un mondo complicato e complesso, ma questo è vero solo in parte.

Di vero c’è che un battito d’ali in America scatena un vento forte in Europa e uno tsunami in Asia.

Ma se ci fermassimo tutti e smettessimo di guardare i nostri piccoli interessi personali potremmo tutti assieme salvare noi stessi e il pianeta su cui viviamo.

Marco Fantuzzi