Porto in salvo dal freddo le parole,
curo l’ombra dell’erba, la coltivo
alla luce notturna delle aiuole,
custodisco la casa dove vivo,
dico piano il tuo nome, lo conservo
per l’inverno che viene, come un lume.
Da Il prato bianco
Porto in salvo dal freddo le parole,
curo l’ombra dell’erba, la coltivo
alla luce notturna delle aiuole,
custodisco la casa dove vivo,
dico piano il tuo nome, lo conservo
per l’inverno che viene, come un lume.
Da Il prato bianco
Come a una voce lontana presto ascolto,
Ma intorno non c’è nulla, nessuno.
In questa nera buona terra
Voi deporrete il suo corpo
Né il granito né il salice piangente
Faranno ombra al cenere leggero
Solo i venti marini del golfo
Per piangerlo accorreranno.
Anna Achmatova, da Poema senza eroe, nella traduzione di Carlo Riccio (Einaudi, 1966)
I libri degli altri, potrebbe essere il titolo per un libro, per un blog di letteratura, finanche per una libreria, ambulante o fissa che sia.
I libri degli altri sono quelli che uno scrittore legge e vorrebbe aver scritto, perché affascinato dall’idea narrativa, dallo stile, che pur assomigliando al suo se ne differenzia per connotazioni e caratteristiche o semplicemente perché lo affascina l’insieme del tutto.
Pur riuscendo ad afferrarlo e comprenderlo c’è qualcosa che gli sfugge, un attimo di sfuggente nostalgia nascosto tra le righe del libro, annidato tra parole desuete.
Che tu sia scrittore o no è sempre il desiderio di raggiungere vette colte da altri con apparente facilità che ci attrae.
Perché è il desiderio che ci tiene in vita, soprattutto il desiderio di amare, nella speranza che l’altro, libro o persona che sia, colmi una nostra mancanza.
Marco Fantuzzi
Come amebe nel brodo primordiale
si agitano e si divorano a vicenda,
così oggi noi che più tali non siamo
fagocitiamo i nostri incontri terreni.
Figli e padri di quella stessa vita,
siamo strumenti di morte,
servi di un’entità che decide i destini
e plasma a suo piacimento ogni creatura.
Oggi il cielo grigio mi mette malinconia,
quell’aria torpida mi attraversa l’anima,
pure le gambe rallentano il loro passo,
già incerto per la vecchiezza incombente.
C’è naturalità in questo cammino,
e guardo la Pietra con le nuvole basse incombenti
che impediscono di gustare appieno la sua bellezza.
Il grigio si confonde con il colore delle case e delle strade,
tutto trascolora nell’attesa del domani, nell’attesa di un colore
che dipingerà nuovamente questi quadri con una luce piena,
dando lateralità apparente a un Caravaggio moderno.
E si tornerà a cantare lodi a Dio come Michelangelo fece,
e dopo di lui nessuno riuscì a superare quelle vette
e chissà per quanto tempo ancora.
Raggiungeremo altri cieli, altri mondi, forse altri universi,
ma non riusciremo ad eguagliare la bellezza del passato,
perché non coltiviamo più il gusto della bellezza.
Non siamo, in fondo, tutti un po’ filosofi?
Anche gli operai, schiavi di se stessi
per giorni interi a ripetere le stesse faccende
per un soldo che sa soltanto di pane fresco?
Un mondo a testa in giù, un mondo capovolto
che par somigliare a un inferno di dantesca memoria
un mondo che si stringe man mano che scendi,
cosa troveremo laggiù che non abbiamo già cercato?
Marco Fantuzzi
E lì una bestia
Divorava il mio cuore,
Privandone l’ostia
Di possente amore.
Fu così che cercai
I tuoi languidi occhi,
Fu così che cercai
La follia degli sciocchi.
E che dire del tempo
Mi privò del futuro,
Il bruciare di un lampo
Che ti sbatte sul muro.
Così spensi i miei sensi
Mi lasciai catturare
Dall’incerto mio sesso
Da vivere e sognare.
© 2018 – da UN UOMO CAPOVOLTO
Se il cielo non esiste più come farò a respirare,
se le nuvole non esistono più come sgorgheranno le mie lacrime,
se le stelle sono solo buchi neri a chi rivolgerò il mio sguardo,
senza albe e tramonti chi veglierà sui miei pensieri?
Mi affido al tuo sorriso, al tuo desiderio inespresso.
Mi affido a te.
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